Otello di Shakespeare mette in scena dei fatti e dei
sentimenti umani ben precisi.
La riduzione di Boito e la musica di Verdi
concentrano l'attenzione solo su alcuni di essi. Ogni accenno militare
successivo all'introduzione dell'opera lirica è filologicamente sbagliato.
Nemmeno il finale terzo, seguendo le parole del libretto e la musica giocata
sugli interni, dovrebbe avere caratteri soldateschi. La guerra è finita
all'inizio della vicenda e il nemico “sepolto è in mar”.
Verdi non è interessato alle armi costruite dall'uomo, bensì
alle armi della seduzione e dell'inganno, ai veleni dell'invidia e della
gelosia, agli antidoti dell'amore e della grazia, seppur inutili.
Ecco perché la regia di Walter Sutcliffe non funziona. Molto
probabilmente egli non conosce l'animo dell'ultrasettantenne Cigno di Busseto. E
pure completamente in errore è la caratterizzazione di Jago, dipinto
come uno lurido assassino.
Verdi non avrebbe mai fatto sporcare le mani al suo
bellissimo e affidabilissimo alfiere. Con ciò non significa che
Sutcliffe non sappia fare il suo mestiere. Gli interpreti principali si
muovono bene, hanno una gestualità misurata, sguardi puntuali, una recitazione
opportuna e convincente e l'impianto scenico dà l'opportunità di continuare a
cambiare scene senza interrompere lo svolgersi del dramma. Sarebbe stato
certamente uno spettacolo interessante se fosse stato supportato da idee
appropriate.
La scenografia ideata da Saverio Santoliquido è
funzionalissima e merita un plauso, ma visivamente inopportuna. È vero che i
sentimenti umani sono sempre attuali, privi di tempo e spazio, ma rinchiuderli
in una trincea fatta di sacchi di sabbia è desolante. Il solo spunto
interessante può essere la trasformazione, negli occhi del pubblico, dei sacchi
in cuscini, come se il fato di Desdemona fosse segnato fin dall'inizio.
Destino che poteva essere rappresentato in maniera ben più piacevole. E a nulla
vale l'idea della scenografia che nel corso dell'opera si chiude attorno a
Desdemona, poiché ciò è già stato visto in altri spettacoli, anche di
diversi anni fa. E il sangue che la imbratta è innanzitutto fuori luogo, poiché
solo nel finale Otello estrae il pugnale, oltreché essere una
riproduzione del Tell di Vick.
I costumi di Elena Cicorella, che nei protagonisti stanno a
metà strada tra la Cipro rinascimentale e la marina militare statunitense di
stanza sulle portaerei, non aiutano certamente a intendere che la vicenda che si
racconta sia un evergreen. Sarebbe stato più apprezzabile il coraggio di
trasporre l'opera in un tempo ben preciso, con delle idee chiare e definite.
Invece l'accozzaglia di simbologie ha prodotto un risultato davvero mediocre;
sembra una brutta copia di alcuni lavori di McVicar. Ma
soprattutto si spera di avere capito male nell'aver individuato un grembiule da
macellaio torturatore nel mantello di Otello, con tanto di sedia per le torture.
Per non parlare dei tovaglioli gialli da pizzeria in testa alle coriste nel
finale terzo. E in mezzo a tanto bianco, azzurro e blu, l'arancio di
Desdemona è davvero di cattivo gusto.
La coreografia di Hervé Chaussard sembra una versione
contemporanea dei tarantolati. È appurato che inserire le danze nell'opera
lirica oggi non è cosa facile. Il pubblico, ma anche gli addetti ai lavori, sono
stanchi del balletto classico. Il moderno, l'hip pop o altri stili simili non
fanno il paio con la lirica. Lo stile contemporaneo è certamente il migliore e
il più azzeccato, ma deve avere un senso. Questo è uno di quei molti casi in cui
manca. Migliori su tutto sono le luci di Rainer Casper, che
con l'impianto che si è trovato ha davvero fatto i miracoli.
Il primo attacco dell'orchestra è assolutamente eccellente. Raramente si
sente una tale limpidezza di suoni nell'introduzione tempestosa.
Gianandrea Noseda, che già in molte occasioni ha dimostrato di
possedere uno spirito verdiano, qui si riconferma. Ma se i primi tre atti
colpiscono per precisione e pulizia, il quarto stupisce per la ricchezza di
colori, alcuni così riusciti da sembrare una novità mai ascoltata prima.
Altrettanto vale il bravissimo coro guidato da Claudio Fenoglio.
Molto buona anche la prova delle voci bianche.
Gregory Kunde nell'attuale panorama lirico internazionale è
da considerarsi un Otello di riferimento. La voce piena, salda, sicura,
squillante, vulcanica si fa udire da “Esultate!” fino a “Niun mi
tema” senza alcun segno ci cedimento. Lo smalto è stupendo. In un mondo
perfetto si preferirebbero pianissimi o smorzature più sottili, ma l'eleganza e
il suo stile di canto sopperiscono abbondantemente. Recitazione,
interpretazione, fraseggio e uso della parola sono impeccabili.
Purtroppo lo stesso non vale per Ambrogio Maestri che da
anni continua a cantare con la sua valanga di voce, peraltro bellissima, con
diverse lacune tecniche. I suoni non sono sempre in maschera, le note non sono
sempre appoggiate, i centri sono spesso sfibrati e opachi. Gli acuti saldissimi
sono certamente il suo punto di forza e lo sarebbero anche le mezze voci se
fossero supportate da un minimo di fraseggio e di intenzione drammatica anziché
rassomigliare quasi sempre a quelle usate per Falstaff. La tecnica è
una, i personaggi no. Le prime due arie di Jago sono rese ai minimi
termini. Meglio la terza “Era la notte” durante il duetto di secondo
atto con Otello.
Erika Grimaldi, pur non possedendo una vocalità
particolarmente piena che le faciliterebbe notevolmente il compito
d'interpretare Desdemona, sa chiaramente come puntare sui propri pregi.
Elegante e raffinata nei primi due atti, si carica d'accenti drammatici nel
terzo senza mai ingrossare la voce, per poi lasciarsi andare al mesto e al
tristemente amaro nel quarto. Non c'è dubbio che nel suo canto abbia tutto sotto
controllo, soprattutto nei fiati e nei piani finissimi, che esegue nella sua
lunga scena senza alcun falsetto.
Molto buona la prova del limpido e squillante Cassio di
Salvatore Cordella.
Positivi anche Samantha Korbey, Luca Casalin, Seung Pil Choi, Emilio
Marcucci e Lorenzo Battagion nelle parti di Emilia, Roderigo,
Lodovico, Montano e l'araldo.
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