Se la prima pesarese di Guillaume Tell nello spettacolo di
Graham Vick aveva sortito qualche dubbio, in gran parte
dissipato durante la ripresa torinese, ora a Bologna, a distanza di oltre un
anno, appare totalmente chiaro ed efficace, funzionale sia al testo originale
sia ad una visione più contemporanea della leggendaria vicenda del Tell.
Inutile perdersi nuovamente nella bravura e nella validità del lavoro di
Vick, Brown, Di Iorio e soprattutto dell'eccellente
Howell. Occorre solo aggiungere che un grande spettacolo quando riceve
molti consensi e altrettante critiche, deve essere rivisto, poiché se il primo
risultato è dicotomico, ciò significa che sta trasmettendo pensieri ed emozioni,
dunque si tratta di arte; contrariamente a ciò che è totalmente bello o brutto,
in tal caso si tratta di pura estetica.
Discretamente brava anche la squadra che si è occupata della ripresa
dell'allestimento – leggermente adattato a causa della ridotta disponibilità di
spazio – con Lorenzo Nencini alla regia,
Virginia Spallarossa alle coreografie, Fiamma
Baldiserri e Marco Alba alle luci, che in alcuni momenti sono
forse un po' troppo forti e costringono a socchiudere gli occhi.
Michele Mariotti riprende in mano la mastodontica partitura
dell'ultimo capolavoro teatrale del genio indiscusso della lirica e lo fa con
ulteriore sicurezza rispetto alla prima pesarese. Già allora il risultato
orchestrale e l'amalgama con le voci risultava eccellente, ora si riconferma, ma
ancor più saldo, con conseguente arricchimento nelle sfumature. L'unico neo è
che il Teatro Comunale di Bologna è piccolo – non è certamente l'Adriatic Arena
– e la vastità del suono avrebbe dovuto essere regolata all'ampiezza sala,
mentre risulta essere un poco eccessivo.
L'ulteriore soddisfazione ricavata dai melomani nell'inseguire questo
spettacolo – oltre alla possibilità di assistere ad un'opera lirica di rara
esecuzione, almeno in Italia – sta nella variazione degli interpreti dei ruoli
protagonisti.ù
A Bologna è Carlos Alvarez a vestire i panni del celebre
arciere e fin dalla primissima frase a mezza voce si mostra ben timbrato. Forse
la sua performance non è da intendersi emblematica nell'ambito dell'intenzione
rossiniana, ma ciò non toglie che il baritono abbia eseguito la parte con
un'eccellente linea di canto, un fraseggio eloquentissimo, un'interpretazione
più che convincente sotto ogni aspetto, dimostrandosi ancora una volta uno dei
migliori baritoni dell'odierno panorama lirico internazionale.
Yolanda Auyanet è Mathilde e, come già ribadito in
molte altre occasioni, è una brava cantante, ma raramente trasmette quel “di
più” da fare incantare. Secondo e quarto atto sono i meglio riusciti, dove
sfoggia raffinatezza e musicalità di livello superiore; mentre terzo atto, dove
occorrerebbero staccati precisi e acuti puntuali, si trova ad eseguire la parte
con dei compromessi non propriamente in linea col canto di Rossini.
L'Arnold di Michael Spyres incarna perfettamente il
volere del compositore pesarese, ma volendo cercare il pelo nell'uovo occorre
notare che in questa occasione non tutte le note sono perfettamente pulite e gli
acuti più estremi non hanno lo stesso smalto e soprattutto lo stesso volume di
sue esibizioni precedenti. Eccellente è la resa di secondo atto.
Enkeleida Shkoza è “troppa” per poter essere vocalmente
credibile in Hedwige e presumibilmente in qualunque altro ruolo di
belcanto. È dotata di un timbro e un colore naturale particolarmente caldi,
piacevoli, davvero interessanti e si nota l'impegno che mette nel tenere a bada
la sua valanga di voce, purtroppo senza riuscirci appieno. Forse dovrebbe
interpretare tanto Mozart per arrivare tecnicamente là dove dovrebbe; sarebbe un
peccato perdere una simile vocalità, più unica che rara.
Mariangela Sicilia è una brava Jemmy, anche se non
tutti gli acuti risultano emessi con suoni tondi e puliti; peccato per il taglio
della sua aria, di cui non si comprende appieno il motivo.
Giorgio Misseri è un Roudi sufficiente, ma è troppo
evidente la difficoltà nella zona più alta. Luca Tittoto è il
solo interprete ad avere eseguito le tre produzioni ed il suo Gessler è
notevolmente cresciuto col tempo anche sotto il profilo vocale.
Marco Filippo Romano è un Leuthold/cacciatore molto
efficace nel canto.
Ci si sarebbe aspettato di più dal Melcthal di Simone
Alberghini e dal Walter di Simon Orfila,
comunque soddisfacenti.
Appena sufficiente il Rodolphe di Alessandro Luciano.
Eccellente la prova del Coro del Teatro Comunale di Bologna
diretto da Andrea Faidutti.
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