Ermanno Wolf-Ferrari è purtroppo l'ennesimo compositore
d'opera bistrattato dai teatri italiani e la sua musica sopravvive in poche e
rare rappresentazioni, talvolta messe in scena da qualche palcoscenico un poco
lungimirante, come è fortunatamente accaduto all'apertura di stagione all'Opera
di Firenze.
Ogni volta che si ascolta Il campiello ci si rende conto dell'abilità
compositiva di Wolf-Ferrari, che sapeva guardare al futuro attingendo dal
passato, recente e lontano, creando pagine oggettivamente belle, soggettivamente
toccanti, ma soprattutto in grado di raggiungere ogni tipo di pubblico e non
solo – per dirla alla Goldoni – quello “caricato”.
Francesco Ciluffo sa muoversi sulla partitura de Il
campiello con estrema disinvoltura, creando un unicum molto ben
amalgamato tra buca e palcoscenico, morbido e ben omogeneo nel passare dai
momenti dolci a quelli comici e infine drammatici. L'Orchestra del
Maggio Musicale Fiorentino lo segue con perizia, prodigandosi in un
suono limpido e pulito anche nei punti più difficili, soprattutto per i fiati,
fatta eccezione per un paio di piccole scivolate nei primi minuti
dell'esecuzione.
Leo Muscato crea uno spettacolo – senza pause, grazie a cui
evita di perdere il tocco emotivo della commedia – con la sua consueta abilità
di vero regista – uno tra i pochi che possono seriamente e onestamente avvalersi
di questo sostantivo per identificare la loro professione – fedele certamente a
un libretto che già di per sé contiene una miriade di note di regia, ma in grado
di condurre mimie solisti verso una recitazione davvero efficacie, fatta di
azioni, di gesti, di sguardi, di scene primarie, secondarie e controscene, dove
tutto è sempre in movimento, non ci si annoia, ma al contempo non si perde
neppure l'attenzione e non ci si distrae dalla vicenda principale.
Le magnifiche e realissime scene di Tiziano Santi portano lo
spettatore all'interno di un vero e proprio campiello veneziano, che cambia
parte del suo aspetto col passare dei secoli, da Goldoni, a
Wolf-Ferrari, fino ai giorni nostri, senza comunque smarrire la sua
identità originaria, dettata non solo dal luogo – Venezia è eterna – ma
soprattutto dai suoi abitanti, che nel 1756 gettano l'immondizia in strada per
poi spazzarla, ma nel 2014 abbandonano sacchi neri negli angoli; nei secoli
scorsi dividevano la tavola, oggi si scattano un selfie.
In questa commedia senza tempo – osservata da lontano dallo spirito dello
stesso Goldoni – anche i costumi di Silvia Aymonino
sono veramente azzeccati, in grado di diversificare in maniera puntuale i vari
personaggi anche nei passaggi epocali. Un poco meno opportune le luci
di Alessandro Verazzi, che non sono suggestive né propriamente
realistiche, ma più teatrali, discostandosi da uno spettacolo che però vuole
essere una fotografia del vero che attraversa i secoli.
Riguardo i cantanti solisti è doveroso segnalare che tutti quanti sono
accomunati da certi pregi nella recitazione, efficacissima, ben caratterizzata
ma moderata, mai eccessiva o snaturata, anche nel caso di Gasparina, Donna
Cate e Donna Pasqua, che talvolta rischiano di cadere in inopportune
caricature. Il distinguo deve essere invece fatto sul fronte vocale.
Alessandra Marianelli è dotata di bella voce morbida nella
zona centrale ed ottiene un buon risultato con la celebre aria di Gasparina
“Buondì, Venezia cara” ma le lacune nella zona acuta e la pronuncia
dialettale un poco sommaria, non ne fanno certo una protagonista insostituibile.
Purtroppo anche la Lucieta di Diana Mian mostra
problemi nelle note alte e talvolta anche nell'intonazione, pur sapendosi
prodigare in un bel fraseggio.
Dolce, delicata e con una linea di canto accettabile è la Gnese di
Barbara Bargnesi, che esegue i consueti filati e i pianissimi
con un buon controllo, ma non è sempre precisa, né fa un buon uso degli
armonici, nascondendosi sotto certi passaggi orchestrali, e ciò è un peccato
poiché ha i numeri per superare questi scogli.
Molto buona è invece la prova di Clemente Antonio Daliotti
nei panni di Astolfi, che presenta una voce ben timbrata, luminosa e
brillante.
Alessandro Scotto di Luzio è un limpidissimo Zorzeto,
omogeneo nel passaggio e ben impostato in avanti. Sarebbe interessante riudirlo
nel repertorio belliniano, poiché sembra possedere un buon senso della melodia.
Cristiano Olivieri veste i panni della vecchia Donna
Cate e sarebbe stata una buona interpretazione se non fosse stato per le
urla stridule cacciate in “Sior strambazzo”.
Efficaci, corretti e vocalmente adeguati Luca Canonici e Patrizia
Orciani nei panni di Donna Pasqua e Orsola.
Sufficienti le prove di Filippo Morace e Luca Dall'Amico nei
ruoli di Anzoleto e Fabrizio.
Buona la prova del piccolo Coro del Maggio diretto da
Lorenzo Fratini.
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