Mettere in scena un'opera fantastica come Armida, oggi non è
compito facile e le aspettative riposte nel nome di Luca Ronconi,
già autore di un fortunato allestimento, erano sicuramente molto alte. Purtroppo
il regista non è all'altezza di se stesso e ne risulta uno spettacolo modesto
dal punto di vista scenografico – quasi oratoriale – costumi stico – pressoché
da carnevale – e drammaturgico – povero di concetti, di gestualità, di
movimento, di controscene – e nemmeno luci e coreografie riescono a risollevare
le sorti di una produzione che pare quasi da compagnia itinerante di provincia.
I bozzetti di Margherita Palli e Giovanna Buzzi
stampati sul libretto di sala non sono affatto malvagi, anzi hanno un
certo pregio e lasciano intravedere qualche idea, ma la loro realizzazione e la
successiva messa in opera peggiora, invece di migliorare, quanto disegnato sulla
carta.
Addirittura Idraote/Astarotte ricorda il mostro Brunga del
cartone animato Chobin.
Quanto alla recitazione, il coro è impreciso nei movimenti, come se avesse
provato per poco tempo, i solisti che interpretano i Franchi sono troppo fissi
in scena – in tal modo si lascia certamente maggiore spazio alla musica, ma
allora tanto vale eseguire l'opera in forma di concerto – mentre Armida,
pur prodigandosi in un certo sforzo drammaturgico, non riesce appieno a
trasmettere la passione per Rinaldo, né la furia che consegue all'abbandono.
Presumibilmente la modestia dello spettacolo è per gran parte dovuta alla
scarsità delle risorse economiche a disposizione. Ma piuttosto di un lavoro
mediocre sotto tutti i punti di vista, si sarebbe preferita una forma
semiscenica, con coro alla greca e meno ballerini – tra l'altro non eccelsi, né
lo sono le coreografie di Abbondanza e Bertoni, tanto
da non riconoscersi né la compagnia, né i suoi direttori – ma bei costumi
addosso ai protagonisti, qualche bravo mimo a sopperire la mancanza delle masse,
un bel disegno lici suggestivo ed evocativo e una recitazione ben studiata in
tutti i minimi dettagli.
Carlo Rizzi guida con polso sicuro l'Orchestra del
Teatro Comunale di Bologna e dimostra fin dalla sinfonia di possedere
le giuste intenzioni – probabilmente complice il bravo Maestro collaboratore
responsabile Giulio Zappa – e il giusto ritmo, riuscendo ad
ottenere un buon equilibrio tra buca e palcoscenico. Molto positiva è la resa
dei cori e delle danze di secondo atto – nonostante la pantomima ben poco
accattivante – con un suono orchestrale davvero pulito; come pure la bellissima
introduzione strumentale per violoncello solo al celebre duetto “Dove son io!”
e l'altrettanto piacevole introduzione per violino solo al successivo “Soavi
catene”.
Carmen Romeu è cantante dotata di risorse limitate che non
le permettono di risolvere un ruolo così difficile da essere stato eseguito
correttamente molto raramente nel corso della storia. La tessitura alla Colbran
presuppone una buona emissione nella zona bassa e centrale, con la capacità di
salire a quella acuta in maniera agile – seppure senza note estreme – e le
successive interpreti si sono quasi sempre trovate in difficoltà, o da un lato o
dall'altro. Romeu è quasi sempre tirata negli acuti e
soprattutto manca delle agilità di forza, condizione imprescindibile di questo
personaggio. Sopperisce con un bel carattere, un certo recitativo e un bel
fraseggio, ma resta purtroppo fuori ruolo.
Antonino Siracusa è un Rinaldo abbastanza riuscito,
morbido ed elegante, ma di poco spessore e non sempre omogeneo: scompare nelle
note basse e tende a cantare sempre in forte negli acuti.
Randall Bills sorprende per la perizia tecnica con cui
affronta l'aria di Goffredo, riuscendo a mantenere una buona linea di
canto anche nei passaggi più bari tenorili. Altrettanto ben riuscito è il
successivo quartetto, mentre è meno incisivo nel ruolo di Ubaldo.
Dmitry Korchak è un buon Gerando e un altrettanto
buon Carlo, risultando sempre intonato, limpido e squillante, provvisto
di una vocalità morbida e dal colore molto piacevole, oltreché pulito e corretto
nell'emissione, anche se l'appoggio non è sempre perfetto.
Carlo Lepore non smentisce la sua bravura, ma nelle due
parti di Idraote e Astarotte è abbastanza insignificante.
Bravo Vassilis Kavayas nelle vesta di Eustazio.
Più che sufficiente la prova del Coro del Teatro Comunale di Bologna
diretto da Andrea Faidutti.
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