Dopo il grande successo de Les Troyens al Teatro alla Scala di Milano,
coprodotto con Royal Opera House Covent Garden di Londra,
arriva a Torino un altro spettacolo di David McVicar, il
regista del momento, coprodotto con Scottish Opera di Glasgow.
Non v'è dubbio che McVicar eccella nel trovare la giusta
mescolanza tra tradizione e contemporaneità, tra drammaturgia e aspetti
scenografici, tra gesto teatrale e recitazione cinematografica, sapendo far
coincidere l'azione con la musica, lavorando con un perfetto uso degli spazi,
sia quando in scena restano i soli protagonisti, sia nei momenti corali e più
affollati.
Ma ciò che si nota in The rake's progress è un'eccessiva concentrazione alla
didascalia, tanto che, pur trattandosi di un bellissimo e piacevolissimo
spettacolo, non ha un granché di interessante e innovativo, né riesce a far
emergere spunti nuovi, pertanto l'opera resta ancorata al suo sapore originario
a metà strada tra Don Giovanni e Les contes d'Hoffmann.
È ovvio che in un mondo dove i registi che sanno fare il loro mestiere sono
sempre meno, il lavoro di McVicar è da considerarsi una punta
di eccellenza, ma non c'è da confondere la perfezione millimetrica con la
genialità.
Ad avvalorare tanto splendore sono le scene funzionali e i costumi
coloratissimi di John Macfarlane, le luci suggestive
di David Finn e la meticolosa, quanto accattivante,
coreografia di Andrew George.
Bravissimo il Coro del Teatro Regio diretto da
Claudio Fenoglio, che sa seguire le belle diversità imposte dalla
regia, come se ognuno fosse un solista.
Molto buona anche la prova dell'Orchestra del Teatro Regio,
fluida e compatta, guidata dal suo direttore musicale Gianandrea Noseda, sempre
attento agli equilibri tra buca e palcoscenico, nonché alla qualità del suono.
Il fronte dei protagonisti è forse un poco più debole: il livello è molto
buono, ma nessuno spicca particolarmente.
Leonardo Capalbo è un Rakewell più che positivo,
sempre morbido e intonato, nonché ben centrato nel personaggio, ma non prodigo
di generosità, di slancio, di intensità, di colori particolarmente sentiti e
quella che potrebbe essere una buonissima interpretazione resta correttissima,
ma un poco piatta.
Lo stesso vale per il Shadow di Bo Skovhus,
preciso, quasi impeccabile, ma poco brillante e soprattutto poco perfido.
L'Anne di Danielle de Niese è angelica ed elegante
quanto basta, ma la sua vocalità è poco musicale e nella cabaletta, momento
attesissimo dell'opera, è poco precisa e con suoni leggermente schiacciati.
Più omogenea è Annie Vavrille nei panni di Baba, ma
anch'ella poco vigorosa.
Centratissimi i personaggi di Trulove, pacato e modesto, Mother
Goose, moderatamente eccentrica, Sellem, acidamente simpatico,
interpretati da Jakob Zethner, Barbara Di Castri e Colin Judson.
Efficaci il guardiano di Ryan Milstead, una voce di
Lorenzo Battagion e gli attori: Eno Greveni, Giuseppe
Lazzara, Niccolò Orsolani e Luca Zilovich.
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