Il 77º Maggio Musicale Fiorentino chiude la sua kermesse operistica al
Teatro della Pergola con Orfeo ed Euridice, il capolavoro
assoluto di Christoph Willibald Gluck, padre dell'opera
moderna.
È da notarsi come, in questo difficile momento per l'Opera di Firenze, si sia
riusciti a mettere in piedi un Festival di alto livello, artisticamente ricco e
ben funzionale. Forse, come sempre in Italia dove si è maestri nel problem
solving, la necessità aguzza l'ingegno. Mentre quando circola troppo denaro lo
si sperpera gettandolo dalla finestra o infilandolo nelle tasche di qualcuno.
Peccato che anche in questa occasione il teatro fosse molto lontano
dall'essere esaurito, male che attanaglia da tempo la lirica fiorentina. Del
resto i prezzi sono troppo alti e la pubblicità troppo scarsa.
Federico Maria Sardelli compie un prodigio musicale,
mantenendo chiara l'intenzione gluckiana e muovendosi da una scena all'altra con
estremo agio e naturalezza, dipingendo i colori funerei, speranzosi,
terrificanti, idilliaci, disperati e festanti con grande nitidezza, in un
tripudio di cromatismi che derivano dal saper fraseggiare con l'orchestra. La
scelta di reintrodurre arpa barocca, chalumeau contralto e cornetto
rinascimentale si è dimostrata vincente, come pure l'orchestrazione dei cori
infernali e di quello finale. Peccato che qualche fiato abbia un po' stonato.
Ottimo il lavoro di Giulia Nuti al cembalo e
Ann Fierens all'arpa barocca.
Anna Bonitatibus è un riuscitissimo Orfeo, non solo
nel personaggio che calza a pennello, ma soprattutto nella linea vocale, sempre
elegante e musicale, attenta tanto al suono quanto alla parola. In tempi più
recenti si è preferito ascoltare questo ruolo con colori più scuri e maggior
peso e spessore nelle note basse, ma c'è da domandarsi quale sia il tratto più
filologico essendo stato scritto per castrato contralto.
Hélène Guilmette è una bellissima e bravissima Euridice,
limpida, raffinata e precisa.
Silvia Frigato, anch'ella abile esecutrice vocale, veste i
panni di un Amore birichino, che potrebbe ricordare Jackie Coogan ne Il
monello di Charlie Chaplin.
Bravissimi Margherita Mana, Gaia Mazzeranghi, Leone Barilli, Duccio
Brinati, Fabrizio Pezzoni, Pierangelo Preziosa, danzatori di Mag.Da.
anche se la coreografia di Cristina Rizzo non è del
tutto comprensibile. Si interseca bene con la regia di Denis Krief, mantenendo
il freddo tratto contemporaneo, ma non se ne comprende appieno il significato.
Pertanto, pur amalgamandosi visivamente col resto dello spettacolo, sembra quasi
avulsa dalla vicenda.
Molto interessante è invece l'ambientazione metafisica voluta da
Denis Krief, vicinissima al suo stesso stile di tanti altri spettacoli,
ma forse qui più azzeccata che altrove.
La scenografia sembra quasi una mescolanza di una rielaborazione
architettonica di un quadro di De Chirico con una delle tele bianche di Malevič,
o di altri autori dell'avantguarde russa. Non propriamente definite le
proiezioni che hanno sostituito la danza delle furie. Sarebbe stato meglio
assistere ad una coreografia. Invece molto ben eseguiti i movimenti e gli
ingressi del coro, soprattutto in secondo atto, perfettamente fusi con la
musica.
Piacevolissimo l'omaggio a Gluck nel finale, con il coro festante in abiti
settecenteschi, egregiamente diretto da Lorenzo Fratini.
Peccato per i due attrezzisti più volte visti in scena, che avrebbero potuto
essere abbigliati come il coro o il corpo di ballo.
Successo meritato per tutti al termine dello spettacolo eseguito in un atto
unico, metodo eccellente per non perdere efficacia drammatica.
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