Come già scritto in moltissime occasioni, il Rossini Opera Festival
di Pesaro non ha eguali e se ne ammirano le rarità delle esecuzioni,
l'attenzione alle scoperte, alle edizioni critiche, alle diverse versioni con
cui certi titoli sono stati storicamente proposti, al rispetto dell'intenzione
del compositore, alla qualità medio alta, talvolta altissima, degli artisti ed
interpreti coinvolti.
Gioachino Rossini è stato il vero precursore del melodramma
dell'Ottocento e del Novecento, il padre della musica d'avant-garde, soprattutto
nel repertorio serio e drammatico ed è ingiustamente troppo poco rappresentato.
Guglielmo Tell, il suo ultimo capolavoro teatrale, contiene
pagine che sono state inarrivabili per molti decenni, almeno fino alla seconda
meta del XIX secolo e tagliarne anche solo una virgola è da considerarsi peccato
capitale.
Lo spettacolo andato in scena al Teatro Regio è stato
proposto lo scorso agosto a Pesaro in versione integrale, nell'originale
francese, mentre a Torino è stato eseguito nella traduzione ritmica italiana di
Calisto Bassi ripristinata da Paolo Cattelan,
ma brutalmente sforbiciata, facendo scomparire i da capo delle cabalette di
duetti e terzetti, della seconda aria di Matilde, la prima parte della
scena dell'arrivo dei ribelli di svizzeri e l'aria di Jemmy.
Trattandosi di un'opera così bella, ma così ingiustamente poco rappresentata
– e molti spettatori non avranno neppure l'occasione di rivederla – sarebbe
stato più opportuno proporre tutta la partitura. Tagliare parti di
Guglielmo Tell, anche se talvolta si tratta di ripetizioni, equivale ad
amputare arti o prelevare un rene e parte del fegato ad un gigante per
rimpicciolirlo un poco.
Detto ciò, dell'allestimento di Graham Vick, qui ripreso da
Lorenzo Nencini, se ne è già parlato lo scorso agosto,
sottolineandone pregi e difetti; ma nel rivederlo a distanza di mesi, molti
tratti precedentemente oscuri ora lasciano spazio a maggiori squarci di
comprensione.
Non è piacevole andare a teatro col libretto delle istruzioni, le regie
dovrebbero essere immediate e questo spettacolo è invece particolarmente
complesso, ma avendo voglia di ragionare un poco, si può perlomeno intendere il
forte messaggio contro ogni tipo di oppressione, che vede il suo apice nelle
danze di terzo atto, ideate da Ron Howell e riprese da
Ilaria Landi.
Così, invece di contestare, il pubblico più inorridito avrebbe potuto pensare
che tali umiliazioni personali e sessuali sono purtroppo ancora la cruda verità
di molti regimi. Andare a teatro deve essere un'attività piacevole, ma anche
intelligente, altrimenti tanto vale restare inebetiti davanti alla TV
spazzatura.
Sul fronte musicale Gianandrea Noseda – già colpevole delle
amputazioni – fa un buon lavoro di concertazione e conduce la bravissima
Orchestra del Teatro Regio lungo la partitura rossiniana con ottima
disinvoltura. Fiati e percussioni, fin dal secondo movimento della sinfonia,
sono davvero eccellenti. In certe pagine il maestro è sinceramente toccante ed
emozionante, anche se forse dirige più alla maniera verdiano popolare che non
con maggior stile rossiniano.
Dalibor Jenis è un protagonista convincente, anche se
vocalmente non completamente ferrato in questo ruolo. Innanzitutto sarebbe
preferibile un timbro più scuro con più facilità di discesa alle note gravi, in
cui spesso si trova in difficoltà. Nei passaggi più centrali o medio acuti certe
note hanno una bella limpidezza, ma per il resto risulta abbastanza opaco,
povero di fraseggio e poco appassionante. La celebre aria di terzo atto è
eseguita correttamente, ma appaiono migliori i recitativi precedenti.
Angela Meade, astro nascente dello Stato di Washington, già
protagonista sui più importanti palcoscenici di tutto il mondo, ha una
bellissima voce, delicata ma piena e certamente musicalissima. Durante l'aria di
sortita di Matilde dimostra di possedere buona tecnica, soprattutto sui
fiati, con filati raffinatissimi e intonazione impeccabile, per cui le si può
perdonare qualche piccola imprecisione. Col procedere dell'opera si nota sempre
di più l'importanza delle sue corde, la rotondità dei suoni e la sua capacità di
mantenersi leggera lungo tutta la partitura.
John Osborne è un eccellente Arnoldo ed è un vero
peccato che la sua parte sia quella maggiormente tagliata: sopravvive il da capo
della cabaletta dell'aria di quarto atto, ma quelle di duetti e terzetti
scompaiono miserabilmente, non permettendo al pubblico di godere appieno della
sua bella voce, né di misurare la sua resistenza nella lunga parte. Il tenore
esibisce acuti limpidissimi, mezze voci finissime, un canto elegantissimo e una
morbidezza, soprattutto nel passaggio, davvero encomiabile.
Anna Maria Chiuri è una bravissima Edwige ,
musicalissima e ben omogenea, affiancata da Marina Bucciarelli
nel ruolo di Jemmy, eseguito con giudizio, con ottima capacità di
salita all'acuto nei numerosi concertati, la cui unica colpa è quella di avere
una voce ancora piccola, non sufficiente per quel gigante che è il grand-opéra
rossiniano.
Mikeldi Atxalandabaso è un azzeccatissimo pescatore,
corretto e aggraziato, anche se non eccelso e strabiliante; Fabrizio
Beggi è un Melcthal riuscitissimo, dotato di vocalità scura e
fare autoritario; efficace Ryan Milstead nei panni de
Leutoldo; sufficiente il Rodolfo di Luca Casalin;
adeguato il cacciatore di Giuseppe Capoferri.
Sapientemente eseguito è il ruolo di Gualtiero, in cui Mirco
Palazzi esprime una bella vocalità cantabile,anche se il personaggio
appare un po' troppo moderato. Musicalissimo è il Gesler di
Luca Tittoto, scenicamente autorevole, addirittura fastidiosamente
viscido, come si conviene al suo personaggio e alle azioni che compie, con una
linea di canto ben omogenea.
Eccellente la prova del Coro del Teatro Regio diretto da
Claudio Fenoglio.
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