“Ciò che è immensamente difficile è trovare la forma musicale, quella forma senza cui la musica non esiste, o non è altro che la schiava umiliata della parola. Questo è il crimine di Wagner: vorrebbe detronizzare la musica, ridurla ad accenti espressivi, esagerando il sistema di Gluck (il quale, per fortuna, non è riuscito a mettere in pratica la propria empia teoria)”. Così si esprimeva Berlioz nel 1856, durante la composizione de
Les Troyens. Poi ancora, nel 1863, dopo l'unica rappresentazione – pesantemente tagliata – del suo capolavoro al quale poté assistere: “la mise en scène di un'opera non è fatta per la musica, è la musica che è fatta per la mise en scène”.
Non è questa la sede in cui si deve criticare una partitura scritta da oltre centocinquanta anni, ma considerata la rarità della rappresentazione, è doveroso spezzare una lancia a favore di un compositore che ha sempre messo la musica in primo piano. La storia ha visto autori concentrati sul canto, altri sulla parola, altri ancora sull'effetto scenico, mentre Berlioz racconta la sua vicenda – intrisa di storia, di mitologia, di fatalismo, di emozioni e sentimenti umani – attraverso la forma musicale. E ne esce vincitore.
Altrettanto trionfatore è Antonio Pappano, che in maniera straordinariamente organica e uniforme conduce orchestra, coro e solisti in un disegno compatto sotto il profilo stilistico, ma dal respiro ampio secondo il punto di vista narrativo, precisissimo nei suoni degli strumenti, che seguono lo spartito del compositore così come desiderava: raccontando affetti e passioni, turbamenti e suggestioni.
Pure vittoriosa è la squadra ideatrice dello spettacolo, capitanata da
David McVicar, Cavaliere della Regina Elisabetta II, coadiuvato da
Leah Hausman, con scene di Es Devlin,
costumi di Moritz Junge, luci di Wolfgang Göbbel
riprese da Pia Virolainen e coreografia di
Lynne Page, che allestisce un'antica Troia in chiave moderna, come se fosse nel pieno dell'era industriale – e guerrafondaia – dell'Ottocento, seguita da una Cartagine ben più idilliaca, così attuale – pur essendo molto precisa nell'ambientazione fenicia – da ricordare il televisivo Approdo del Re de Il Trono di Spade.
Il lavoro di McVicar è chiaramente grandioso, epico, proprio così come dovrebbe essere, ma sempre al servizio della musica, poiché mai disturba e sempre racconta, nota per nota, l'incredibile partitura di Berlioz.
Gregory Kunde è un ottimo protagonista. Forse il suo Enée è leggermente meno eroico del suo
Otello o del suo Vasco de Gama, ma non è importante, poiché ciò che davvero conta è la sua capacità di cantare generosamente, di fraseggiare, di essere musicista dall'inizio alla fine.
Lo affianca un mostro di bravura quale è Anna Caterina Antonacci, che porta sul palcoscenico della Scala una
Cassandre drammatica e solo velatamente squilibrata, perfettamente in linea col personaggio che sembra straparlare, mentre sta svelando una verità non ancora accaduta. Forse il canto, in un ruolo così vocalmente arduo, mostra qualche lieve segno di cedimento rispetto al passato, ma l'esecuzione nel suo complesso è comunque grandiosa e celebra splendidamente i suoi trenta anni di carriera.
Pure eccellente è Daniela Barcellona nella parte di Didon. La sua voce è velluto puro e si prodiga in un canto spianato davvero toccante. Forse, contrariamente alle aspettative, non è così ferrata nelle pagine di derivazione più belcantista, ma risulta comunque strepitosa, poiché la sua morbidezza e la sua omogeneità in questo ruolo si notano maggiormente.
Fabio Capitanucci è un Chorèbe poco intonato, quasi fastidioso, mentre
Alexander Duhamel è un Panthée sicuro e squillante.
Deyan Vatchkov è un Hector solido e brunito e
Giacomo Prestia è un Narbal più che soddisfacente, moderatamente autorevole, giustamente non autoritario.
Paola Gardina se la cava molto bene come Ascagne, con un canto preciso seppur non particolarmente stentoreo, ma in linea col personaggio, anche se tende a scomparire nei concertati; accettabile l'Anna di
Maria Radner, ma che si trova probabilmente fuori parte.
Shalva Mukeria è un Iopas poco preciso nei recitativi, decisamente migliore in “O blonde Cérès”, ma comunque in difficoltà.
Paolo Fanale è un eccellente Hylas e la sua “Vallon sonore” è elegante e raffinata, giocata su colori e cromatismi.
Positive le prove di Elena Zilio, Oreste Cosimo, Guillermo Esteban Bussolini e Alberto Rota
nei panni di Hécube, Hélénus, primo e secondo soldato troiano.
Non più adeguata la voce del Panthée di Mario Luperi.
Completano il cast Luciano Andreoli, Sara Barbieri, Alessio Nuccio, Sara Catellani, Ernesto Panariello, Emidio Guidotti.
Grande e meritatissimo successo per tutti, soprattutto per il direttore, i tre protagonisti e il magnifico coro diretto da
Bruno Casoni.
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