Nonostante alcuni cambiamenti rispetto alla locandina pubblicata
inizialmente, il Maometto II che va in scena all'Opera
di Roma sa tenere alto il nome e l'onore del suo compositore,
avvalendosi di artisti che hanno spesso calcato con successo le scene del
Rossini Opera Festival di Pesaro.
Innanzitutto la ripresa dello spettacolo ideato per La Fenice da Pier
Luigi Pizzi dà un sicuro valore aggiunto a quanto purtroppo sta
accadendo negli ultimi anni nei teatri italiani: la crisi non riesce a
giustificare la continua produzione di allestimenti miserabili, fatti di
tendaggi – che notoriamente assorbono il suono – al posto delle scenografie e di
costumi provenienti da un sottoscala cinese.
È invece più che apprezzabile, o addirittura lodevole, la circuitazione di
spettacoli già visti, ma di pregevole fattura e di sicuro effetto, tali da
arricchire tanto lo spirito artistico del pubblico, quanto l'espressività degli
interpreti che, trovandosi a cantare e recitare all'interno di un vero
capolavoro, sono anch'essi indotti a dare sempre di più.
La congruenza dei costumi e l'eleganza suggestiva delle luci bianche
contribuiscono alla realizzazione, in alcune scene, di veri e propri dipinti,
che potrebbero essere ripresi in una cartolina.
Roberto Abbado, che in altre occasioni ha diretto il
Rossini serio con l'impeto verdiano, contribuendo ad avvicinare
maggiormente la musica del pesarese all'animo popolare, in questa occasione
appare molto rispettoso dell'intenzione del compositore fin dalle primissime
battute, senza calcare la mano, neppure degli arpeggi di viole e violini, come
invece avrebbe voluto una lettura più prossima a Donizetti e Verdi.
La sua bacchetta crea un amalgama perfetto tra buca e palcoscenico, in un
equilibrio tra tutte le parti cui raramente si ha la fortuna di assistere; e col
procedere della vicenda riesce a unire anche il respiro del pubblico a quello di
solisti, coro e orchestra.
Roberto Tagliavini, alla sua sortita con “Sorgete”
mostra immediatamente una vocalità importante, piena e corposa che, tecnicamente
ferrata, gli permette di eseguire la parte in maniera precisa ed efficace nel
suono, espressiva ed entusiasmante nel fraseggio, intensa e significativa
nell'interpretazione del personaggio. L'intonazione perfetta, l'elasticità
vocale e l'omogeneità della linea di canto contribuiscono ad una resa eccellente
del ruolo del titolo.
Marina Rebeka veste i panni di Anna, la vera
protagonista dell'opera, e lo fa con la sicurezza e la scioltezza di chi ha già
vinto la dura prova di questo difficile ruolo. È evidente che la Rebeka,
in ogni momento, ha tutto sotto controllo e la perfezione tecnica si nota
soprattutto nei virtuosismi che prevedono, in molti punti, la discesa verso note
che, se fossero eseguite scorrettamente, affosserebbero voci meno preparate, o
si ridurrebbero a una smorfia in un canto meno capace. Delicatissima nella
preghiera e negli accenni alla madre, è pregevole esecutrice nelle altre pagine
a lei dedicate, senza mai cadere in una eccessiva drammaticità che altrimenti
andrebbe a snaturare l'intenzione rossiniana.
Juan Francisco Gatell, pur non possedendo una voce stentorea
e lo spessore adeguato per l'interpretazione del personaggio di Erisso,
mostra un canto particolarmente accurato, decisamente conforme al metodo
rossiniano e indubbiamente attento alla pulizia del suono
Alisa Kolosova, ingiustamente contestata da una parte della
galleria dopo la prima aria di Calbo, dimostra di possedere una voce
morbida e vellutata, molto omogenea nel passaggio all'acuto e nell'emissione
delle note basse. La tecnica di canto è solida e la musicalità naturale del suo
canto è un sicuro punto di forza.
Sonoro ed efficacissimo il Condulmiero del rossiniano Enrico
Iviglia, che si prodiga in un terzetto davvero riuscito; chiaramente
adeguato anche il Selimo di Giorgio Trucco.
Eccellente la prova del Coro dell'Opera di Roma diretto da
Roberto Gabbiani.
Lunghi e scroscianti applausi per tutti al termine dello spettacolo.
Meritatissimi.
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