Con questa replica domenicale si conclude positivamente la settima
rappresentazione del massimo melodramma verdiano di intensa introspezione
psicologica in cui, sia la compagine orchestrale, sia quella corale ben
affiatate si distinguono particolarmente per l'omogeneità e per la corretta
esecuzione, soddisfacendo appieno il gremito teatro che ricambia con grande
entusiasmo. Altrettanto per gli artisti del cast principale alla quarta
recita, fatta eccezione però per talune riserve sul Tenore dell'eponimo ruolo.
Otello in effetti per la sua complessità ha sempre messo
alla prova i più grandi Tenori del passato, tra cui si sono distinti non molti
artisti. Il cantante argentino Gustavo Porta, che calca le
scene dalla fine degli anni novanta in tanti ruoli verdiani, dotato di un bel
timbro generoso di lirico spinto ben esteso e potente, non mette ben a fuoco
vocalmente il suo personaggio . Il medium è buono, il problema è nel portamento
e negli acuti che sono forzati a discapito della corretta intonazione su cui
talvolta difetta. Sin dalla potente cavata di “Esultate ” ha problemi
che manifesta quasi per tutto il resto della rappresentazione nei passaggi e sul
registro più alto, a svantaggio anche dell'interpretazione che in definitiva
sarebbe più che dignitosa. Tuttavia veste bene i panni del Moro nel
duetto con Desdemona del primo atto con un buon fraseggio in “Già
nella notte densa" e nella veemenza della cabaletta con Jago in “Sì pel ciel
marmoreo giuro" in conclusione del secondo. Si riscatta sicuramente
nell'amarezza dei monologhi del cantabile “Dio, mi potevi scagliare"
del terzo e del declamato “Niun mi tema” al termine, in cui è
vocalmente a proprio agio, rientrando nella dimensione umana di Otello.
E' alquanto applaudito al termine dello spettacolo dal pubblico attento,
esigente e generoso nel contempo.
Aspetto ben diverso invece per Iago
di Giovanni Meoni, particolarmente distintosi tra i colleghi.
Il baritono di tipica tradizione italiana, possiede un bel timbro di solido
e consistente volume, è sicuro nell'estensione del registro senza forzature,
dalle note più gravi agli acuti più impegnativi come quelli del recitativo del “Credo”
che risolve con tanta costanza espressiva. Forte della vasta esperienza in
Bellini, Donizetti e Verdi che esegue dagli inizi degli anni
novanta, dalla buona linea di canto è a suo agio nel mettere a nudo un
personaggio sottile, vile, infido, perfido, maligno, satanico e mellifluo quanto
basta, simulando con naturalezza un insospettabile e rispettabile soldato, sino
a quando non viene finalmente smascherato. In effetti Jago, che
come noto avrebbe potuto titolare l'opera, genio dell'odio e del male è l'asse
fondamentale del capolavoro dell'ultra settantenne compositore e del Maestro
librettista Arrigo Boito, tratto da Shakespeare.
Dalla spiccata personalità, riesce ad influenzare assolutamente il debole
Otello costringendolo ad uccidere prima Desdemona e poi se stesso,
concretizzando il suo piano di vendetta. Ed in questo Giovanni Meoni
riesce sin troppo bene meritandosi, maturando ancor di più il personaggio, di
essere inserito tra i migliori interpreti del noto alfiere. Più che credibile
nel “Sogno ” del secondo atto e nel duetto con Otello, ottiene
sicuramente i consensi più consistenti da parte del pubblico.
Molto
apprezzata anche l'ingenua ed innocente Desdemona della Signora
Julianna Di Giacomo. La giovane statunitense Soprano lirico-spinto
in carriera è naturalmente dotata di un ottimo volume e di un bel timbro caldo
che la contraddistinguono in una emissione di ricchi colori.
Nonostante la consistente ed estesa vocalità, non forza mai assicurando a
Desdemona la corretta impostazione di nobile donna, mite e di buona fede,
diversa da tutti gli altri, “pia creatura nata sotto maligna stella”
sottomessa alla tracotanza di Otello, di cui intuisce forse troppo
tardi le cattive intenzioni dettate dalla cieca gelosia. Dalla ben definita
linea di canto, con le celebri “Canzone del Salice” e “l'Ave Maria”
al termine del quarto atto, con il suo accurato ed accorato fraseggio drammatico
ben armonizzato da un ottimo lirismo interpretativo, riesce con naturalezza a
trasmettere allo spettatore le sensazioni del suo stato d'animo, confermandosi
valida interprete verdiana.
Il cast è completato dai decorosi e credibili
Cassio e Roderigo dei validi tenori Giuseppe Varano e
Pietro Picone, da Emilia della brava MSoprano Anna
Malavasi, dai Bassi Manrico Signorini/Lodovico
e Maurizio Lo Piccolo/Montano e dal Baritono
Riccardo Schirò/Araldo, tutti applauditi.
Solisti in
perfetto equilibrio ed armonia con l'imponente orchestra concertata e diretta
magistralmente da Renato Palumbo, noto specialista delle
partiture verdiane, che come si diceva in premessa, insieme all'ottima
preparazione del coro da parte del Maestro Piero Monti (Salvatore
Punturo per le voci bianche) e grazie anche alle numerose
rappresentazioni, hanno contribuito tutti all'ottima riuscita musicale
dell'opera, applauditissima.
L'impatto con l'inizio dell'opera con il
potente accordo a piena orchestra è notevole, il rumore del cannone ed il
borbottio dell'uragano sono efficaci ad introdurci nella complessa struttura
musicale che viene eseguita con accuratezza nell'intero contesto dell'opera, non
trascurando la raffinatezza degli archi e dei fiati nei righi più sinfonici e
melodici, all'inizio degli altri atti ed in alcuni pianissimi.
I tempi son ben sostenuti e le dinamiche intense nelle pagine più colorite ed il
grande concertato del terzo atto è tra le migliori esecuzioni d'insieme che si
ascoltino al Massimo.
La regia dell'allestimento realizzato in
coproduzione con il Teatro San Carlo di Napoli, è firmata da
Henning Brockhaus che aveva diretto anche Rigoletto
dello scorso anno, con le scene di Nicola Rubertelli ed i
costumi di Patricia Toffolutti.
Una scena semifissa per
i quattro atti, con al centro le spesse pareti circolari semoventi del castello,
in cui all'interno ed all'esterno si svolge il melodramma. All'inizio l'ambiente
è cupo, non realistico, l'isola di Cipro si presenta piena di rovine, come
subito dopo una catastrofe. Gli effetti della tempesta sono affidati
esclusivamente all'orchestra, all'apertura del primo atto l'inusuale presenza di
Desdemona e di Jago che lanciando un intenso fischio strappa
la tela raffigurante il “Giardino delle delizie” di
Bosch, come a mettere a nudo tutti i protagonisti. Le scene ed
i costumi, sempre secondo il regista, non richiamano alcun momento storico.
Tuttavia la rappresentazione, fuori dagli schemi di tradizione, è molto
dinamica e significativa, arricchita dai costumi e dagli effetti luminosi,
soprattutto nel primo atto, con tutti in maschera. Come per il Rigoletto
sono tanti i richiami di carattere erotico con la simulazione di vari
accoppiamenti pubblici in un generale movimentato groviglio di persone e di
azioni, proprio a delinearne il degrado, in un contesto nebbioso e tetro che ha
una connotazione diabolica, forse più adatta a rappresentare un
Mefistofele.
La simbologia è cospicua, dai detriti degli antichi
affreschi del primo atto, dai cadaveri dei mussulmani coperti da un telo da
Otello e Desdemona, alle rocce laviche sul proscenio ed alla
collocazione di un cumulo di armature dismesse al centro della scena. Rilevante
altresì l'attenta ricostruzione della statua della Madonna da parte della pura e
religiosa Desdemona nel quarto atto, in antitesi al diabolico Jago che
l'aveva distrutta nel contesto del suo “Credo”. Indipendentemente
dal condividere o meno le suddette scelte registiche, è però uno spettacolo
valido che ovviamente lascia libertà di interpretazione allo spettatore.
Foto e video su teatromassimo.it
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