È prassi sempre più comune, soprattutto nei teatri di provincia, mettere in
scena opere popolari, quelle definite di repertorio, avendo la certezza, o
quasi, di riempire le sale; ma questo non è fare cultura.
L'opera lirica vanta una storia di quasi mezzo millennio e il suo lungo
catalogo è ricco di musica, vicende e titoli interessanti, sconosciuti ai più:
riscoprire questi capolavori dovrebbe essere una missione, così come accadde un
secolo fa con la Verdi-Renaissance, propagatasi dalla
Germania in tutta Europa dagli anni Venti, e con il Rossini Opera
Festival di Pesaro a
partire dal 1980.
Gaetano Donizetti è purtroppo ancora oggi un autore
sconosciuto. Tutti hanno visto e ascoltato L'Elisir d'amore e
Lucia di Lammermoor. In tanti hanno assistito ad almeno una
recita di Anna Bolena, Maria Stuarda, Roberto Devereux, Lucrezia Borgia,
La fille du régiment, La favorite, Don Pasquale. Forse qualcuno conosce
Le convenienze ed inconvenienze teatrali, Gemma di Vergy, Marino
Faliero, Belisario, Il campanello, Maria di Rudenz, Poliuto, Maria di Rohan,
Linda di Chamounix. Ma il prolifico e talentuoso compositore bergamasco
– padre di quel modo di fare teatro, caro al giovane Verdi – scrisse oltre
settanta melodrammi che meritano una seconda opportunità.
Ciò che manca, oltre al denaro, è la capacità di fare squadra, di unire le
forze per uno scopo comune e non solo per il successo o la fama personale, di un
singolo dirigente o di una sola istituzione.
Ecco perché la produzione de Il furioso all'isola di San Domingo
dovrebbe essere l'esempio da cui partire: la collaborazione tra la
Fondazione Donizetti per la cura della nuova versione critica, il
Bergamo Musica Festival per la messinscena dell'opera, sei
teatri distribuiti in quattro regioni per le rappresentazioni, sono gli elementi
imprescindibili per una buona riuscita di questo genere di progetti. Ed un
consolidamento di questa prassi, col tempo, porterebbe certamente ad un evidente
miglioramento artistico.
Maria Chiara Bertieri cura sapientemente la nuova edizione
critica sulla base dell'autografo di Donizetti, spogliando il
dramma di tutte quelle modifiche imposte dalla tradizione novecentesca e
ripristinando le parti tagliate, compresi i da capo.
Giovanni Di Stefano dirige correttamente la brava
Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, inizialmente con tempi un poco
lassi, ma poi riprendendo il giusto vigore, vivace nei tratti comici, intenso
nelle pagine patetiche.
Michele Olcese vince a pieni voti la sfida della
realizzazione scenografica sulla base dei bozzetti di Lele Luzzati,
ispirati alle fantasie tropicali di Henri Rousseau. L'impianto
è funzionale alla vicenda, piacevole alla vista e giustamente intriso di
suggestione fiabesca. Anche i bei costumi di Santuzza Calì
sono in perfetta linea con l'idea originaria di Luzzati.
Un po' meno centrata appare la regia di Francesco Esposito
che, a discapito della nuova versione critica e maggiormente vicino a precedenti
edizioni, mette un po' troppo in evidenza i tratti comici, avvicinandosi di più
allo stile de L'Elisir d'amore – commedia con alcuni passaggi
patetici – che non a quello di Linda di Chamounix – opera
semiseria, dunque dramma con alcuni elementi buffi.
L'aria di sortita di Eleonora non possiede né musica né parole
divertenti (vedea languir quel misero dell'età sua nel fior… e con la man
crudele poi gli squarciavo il cor… degli astri merito la crudeltà…), così
come la seconda aria di Fernando e la regia di Esposito
potrà essere spassosa, ma non certo filologica, creando un forte scostamento tra
le emozioni percepite dal cuore attraverso le orecchie e gli occhi.
E non è ben chiaro come mai i marinai decidano di farsi un bagno, due a due,
nelle tinozze. Inoltre il continuo andirivieni di casse e cassettoni, teli e
lenzuola, quadri e freccette, ad un certo punto viene a noia. Anche la tempesta
animata di Luigi Berio poteva essere evitata.
Simone Alberghini è un protagonista pressoché perfetto,
morbido e uniforme nei cantabili, saldissimo nell'intonazione, eccellente nel
tratteggiare sia i caratteri malinconici sia quelli paranoici.
Paola Cigna, che solitamente è una certezza in questo tipo
di repertorio, non appare così centrata nel ruolo, spesso disomogenea e poco
aggraziata.
Francesco Marsiglia sfoggia una tecnica alquanto salda nel
breve, ma intenso e particolarmente complesso ruolo di Fernando.
Molto buona la prova di Leonardo Galeazzi nei panni di
Bartolomeo; efficace il Kaidamà di Filippo Morace;
positiva la Marcella di Marianna Vinci, anche se la
voce è un po' troppo spinta in alcuni punti.
Ottimo il Coro del Teatro Municipale di Piacenza diretto da
Corrado Casati.
Grande successo per tutti al termine dello spettacolo.
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