Mario
Dradi è oggi uno degli agenti italiani più riconosciuti in suolo nazionale e non
solo. La sua attività di manager di cantanti lirici – iniziata nei primi anni
Ottanta e confluita poi nella fondazione nel 1997 della sua agenzia Operart – si
è sempre alternata all'organizzazione di grandi eventi di respiro
internazionale. Il più famoso di tutti è il Concerto alle Terme di Caracalla a
Roma tenutosi alla vigilia della finale della Coppa del mondo del 1990, con i
famosi tre tenori Plácido Domingo, José Carreras e Luciano Pavarotti.
Come è nata la sua passione per la musica? A
quindici anni lavoravo in un'officina e un giocatore d'azzardo (categoria
foltissima in Romagna) che frequentava questa officina mi obbligò a salire le
scale del loggione del Teatro Alighieri di Ravenna per vedere Il barbiere di
Siviglia (era un omone possente, non avrei potuto contraddirlo).
Le piacque? Fu amore a prima vista? Mah, a dire
il vero no, eravamo in piccionaia, e io non riuscivo a vedere un granché. Ogni
tanto vedevo questo tipo uscire con la chitarra, ma non capivo nulla, e non
riuscivo a comprendere perché la gente impazzisse tanto per uno spettacolo del
genere. Ci doveva essere dell'altro, qualcosa che non ero riuscito a cogliere,
così decisi di volerlo comprendere. Comprai il libretto de La traviata e un
biglietto per quell'opera. Quella volta, avendo letto tutto il libretto in
precedenza, capii ogni cosa, e fu l'inizio di una passione che non mi ha mai
abbandonato.
Invece come le capitò di trovarsi agente? È
iniziato tutto con una collaborazione freelance con il Teatro Alighieri di
Ravenna; l'obiettivo era quello di far crescere il pubblico e di rendere molto
più partecipe la città dell'attività musicale e artistica del Teatro.
Immagino che ebbe successo... Dopo tre anni
avevo perfino creato il turno L per gli abbonamenti, e si era generato veramente
un clima di festa e di entusiasmo cittadino per ogni evento del teatro, facevamo
prosa, balletto, lirica, concerti...
In pratica come aveva reso possibile una cosa del genere?
Volontari. Avevo gente che cooperava alla vendita dei biglietti e degli
abbonamenti in tutte le aree, uffici, biblioteche, negozi... Era insomma
possibile acquistare un abbonamento per il Teatro in ogni dove e, considerando
che Ravenna non è di certo una metropoli, il risultato fu straordinario, ogni
sera il teatro era pieno. Poi, insomma, con il direttore artistico di allora si
discuteva di titoli, di cast ecc. E avevo un buon orecchio...
E poi? Poi successe che venne José Carreras a
cantare Lucia di Lammermoor a Ravenna, lo conobbi e in seguito entrammo in
confidenza. Per una serie di fortunate circostanze, lui mi chiese di seguirlo e
di collaborare con Carlo Caballé, il suo manager dell'epoca.
E col Teatro di Ravenna cosa fece? All'epoca ero
stato già stato assunto, ma stavano cambiando alcune cose e non ero sicuro che
ci sarebbe stato ancora posto per me; c'era stato un cambio al vertice e vedevo
che certe mie proposte non riscuotevano l'interesse di prima. Nello specifico
avevo proposto due eventi in cui credevo sinceramente: uno era il concerto di un
cantautore che mi piaceva moltissimo, e l'altro era un monologo di un attore che
durava un paio d'ore. Erano due progetti che confidavo avrebbero avuto successo,
ma furono relegati al Teatro Rasi e considerati eventi marginali.
Peccato, però – da come li descrive – questi due spettacoli non
sembrano possedere un'attrattiva particolare per il grande pubblico...
Il cantautore era Paolo Conte, l'attore era Roberto Benigni.
Caspita, aveva visto lontano! Diciamo di sì; da
allora decisi di tentare la via di Barcellona. Prendevo una miseria e di certo
non fu una scelta dettata dalla motivazione economica, ma dalla passione, e mi
gettai a capofitto in questo mondo. L'altro evento importante, però, quello
che risultò fondamentale nella mia carriera, fu il mega-evento dei Tre Tenori,
con Plácido Domingo, José Carreras e Luciano Pavarotti nel 1990.
Come nacque? A Carreras avevano proposto
l'ennesimo concerto a Roma, per i Mondiali del 1990; lui non ci teneva
particolarmente, mi disse che avrebbe partecipato se fosse stato creato un
evento un po' particolare, altrimenti non era interessato. A me venne l'idea dei
Tre Tenori, coinvolsi Plácido Domingo e Luciano Pavarotti, e poi chiamai Zubin
Mehta come direttore. Fu un'impresa complicata: i fondi a mia disposizione erano
pochi, il lavoro che avrebbero dovuto fare tre uffici lo facevamo in tre
persone. Ecco, ho rischiato il tutto per tutto.
E ha vinto. Questo evento è stato spesso
criticato, per come avevamo reso “popolareggiante” l'opera e i suoi
protagonisti, per il contesto mediatico che avevamo creato ecc., ma non è
quantificabile quanto il teatro e la discografia classica ne abbiano
beneficiato. In seguito, moltissimi si appassionarono all'opera proprio per
quell'evento e sulla scia di quel concerto si vendettero moltissime copie di
opere intere che avevano per protagonista uno dei tre tenori. Zubin Metha,
quando glielo proposi, mi disse: “È un sogno impossibile...”. Mi parve
bello come nome per il dvd delle prove. La Decca per anni dopo quell'evento
vendette una media di dieci volte in più di quello che aveva venduto negli anni
precedenti. È stato dopo quell'evento che i grandi sponsor hanno cominciato a
investire nell'opera, non di certo prima.
Dopo quell'evento cosa accadde nella sua carriera?
Molte porte si aprirono e godetti di parecchio credito; sì, quello è stato
l'inizio della mia carriera, l'inizio vero e proprio.
Un mestiere, quello dell'agente lirico, che le ha permesso di
vivere grandi emozioni, talvolta la delude come lavoro?
L'aspetto maggiormente gratificante è quello della scoperta del talento, il
lavoro che si fa sull'artista, sul percorso da fargli intraprendere e poi, alla
fine, il risultato nel vedere confermate sul palco le proprie intuizioni e le
proprie aspettative. È deludente quando tu sei un grande appassionato di musica
e ti devi scontrare con un popolo di gente che si trova nella sala dei bottoni e
che dichiara come se nulla fosse che dell'opera non gliene importa nulla e,
ancor più grave, nessuno gli dà importanza più di tanto. Anni fa i miei
interlocutori nelle direzioni artistiche dei teatri erano persone con le quali
si poteva avere un dialogo, si parlava la stessa lingua; oggi, a dire il vero,
non sono sicuro che se parlo di Linda di Chamounix in certe direzioni artistiche
abbiano la più vaga idea del tipo di cast di cui necessita un'opera del genere.
Questo è frustrante.
Parla della situazione teatrale attuale?
Purtroppo sì.
Quindi è destinata al collasso? Se non si
cambia, sì. Una volta le sovrintendenze dei teatri erano affidate a chi lo
faceva per passione, perché la carica procurava un certo prestigio, non di certo
per denaro. Oggi anche sovrintendenti e direttori artistici di teatri “minori”
percepiscono stipendi da favola, e ovviamente non lo fanno per passione. Il
problema in Italia è la politica. Smettono di esserci a capo delle strutture
teatrali personaggi competenti, e così ecco cast squilibrati, cantanti
spudoratamente sopravvalutati, mentre alcuni veri grandi professionisti sono
oscurati dal nuovo meccanismo.
Nota che il suo lavoro va piuttosto di moda ultimamente?
Sì, l'ho notato...
Quali caratteristiche deve possedere un buon agente?
Anni fa le avrei risposto passione per la musica, competenza e un buon orecchio.
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Volete sapere come va a finire l'intervista?
La potete trovare per intero
su "Il manuale del Cantante Lirico - Come farsi conoscere e diventare un
cantante lirico di successo" di Guglielmo Novalis - Mind Edizioni
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